Infarto: ecco chi corre i rischi più alti secondo gli esperti

L’infarto rappresenta una delle principali cause di mortalità a livello globale e, nonostante i grandi progressi della medicina e della prevenzione, continua a colpire una vasta fascia della popolazione. Studi recenti hanno evidenziato come la sua comparsa sia legata a una complessa combinazione di fattori di rischio, alcuni modificabili attraverso stili di vita salutari e terapie, altri invece non eliminabili perché intrinseci all’individuo. Comprendere chi corre i rischi più alti, secondo il parere degli esperti, è fondamentale per poter attuare strategie di prevenzione realmente efficaci.

Fattori di rischio: una combinazione multifattoriale

L’insorgenza dell’infarto è legata a una molteplicità di elementi che aumentano la probabilità di sviluppare un evento acuto a carico del miocardio. Gli specialisti parlano infatti di patologia multifattoriale, perché riconosciuta come il risultato dell’interazione tra diversi fattori, ognuno dei quali contribuisce a vario grado all’insorgenza del problema cardiaco.

I fattori di rischio principali identificati dalla comunità scientifica comprendono il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, l’obesità addominale, la sedentarietà, una dieta povera di frutta e verdura, e lo stress cronico. Ognuno di questi elementi, anche isolatamente, accresce la probabilità di sviluppo di un infarto, ma la presenza di più fattori contemporanei agisce in modo sinergico, incrementando esponenzialmente il rischio totale.

Fra i fattori modificabili assumono particolare rilievo:

  • Fumo: il fumo è universalmente riconosciuto come la principale minaccia per la salute cardiovascolare sia nell’adulto sia nei soggetti più giovani. Nei giovani sotto i 50 anni, il fumo di sigaretta rappresenta il rischio predominante, soprattutto nelle donne dove l’incidenza di infarto risultata significativamente aumentata.
  • Sedentarietà e obesità: la mancanza di attività fisica e l’eccesso ponderale sono spesso associati ad altri fattori, contribuendo all’insorgenza della cosiddetta sindrome metabolica, che aumenta il rischio di patologie cardiovascolari.
  • Ipertensione e colesterolo alto: la pressione arteriosa elevata e l’ipercolesterolemia, soprattutto se coesistenti, moltiplicano la probabilità di infarto. Chi presenta entrambi questi fattori e inoltre fuma vede crescere il rischio di un infarto fino a otto volte rispetto a chi non ne presenta nessuno.
  • Diabete: il diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2, rappresenta uno dei maggiori determinanti di danno vascolare a lungo termine, favorendo l’aterosclerosi e le sue complicanze.
  • Il ruolo dei fattori non modificabili

    Non tutti i fattori di rischio possono essere controllati o evitati. Alcuni di essi, detti “non modificabili”, sono legati a caratteristiche personali sulle quali la prevenzione primaria può fare poco se non intervenire in modo ancor più stringente sugli altri elementi. Tra questi spiccano l’età avanzata, il sesso maschile e la predisposizione genetica o familiare.

    Età: con l’aumentare degli anni cresce progressivamente il rischio di eventi cardiovascolari. Dopo i 45 anni negli uomini e i 55 nelle donne, la probabilità di sviluppare una coronaropatia cresce sensibilmente.

    Sesso: gli uomini sono statisticamente più colpiti rispetto alle donne in età pre-menopausale; il rischio nelle donne tende però ad aumentare dopo la menopausa, raggiungendo quello della popolazione maschile.

    Familiarità e genetica: se in famiglia vi sono già casi di problemi cardiovascolari precoci, la suscettibilità personale risulta aumentata a causa di fattori ereditari, che possono includere anche varianti cromosomiche specifiche che innalzano il rischio fino al 50% rispetto alla popolazione generale.

    Rischio specifico nei giovani: un trend in crescita

    Negli ultimi anni è stato riscontrato un incremento di casi di infarto anche in soggetti giovani, una volta considerati quasi immuni a questa problematica. Questo fenomeno è stato attribuito principalmente all’aumento del consumo di tabacco e, più recentemente, all’uso concomitante di sigarette elettroniche.

    Il danno cardiovascolare indotto dal fumo agisce attraverso molteplici meccanismi: danneggiamento dell’endotelio vascolare, promozione dello stato infiammatorio e aumento del rischio di aterosclerosi, tutte condizioni che predispongono all’occlusione delle arterie coronariche e quindi all’infarto.

    Particolarmente preoccupante risulta l’associazione tra fumo e altri comportamenti a rischio come sedentarietà, cattiva alimentazione e abuso di alcol e caffeina, abitudini che nei giovani si raccolgono spesso in cluster comportamentali.

    Nel sesso femminile alcuni rischi aggiuntivi derivano dall’associazione del fumo con l’uso di contraccettivi orali, che può aumentare di ben cinque volte il rischio di infarto o ictus rispetto alla popolazione di donne non esposta a questi fattori.

    Prevenzione e strategie per ridurre il rischio

    I dati scientifici concordano sul ruolo cruciale delle strategie di prevenzione nel ridurre l’incidenza dell’infarto, specie nei soggetti con maggiore rischio individuale. I cambiamenti dello stile di vita rappresentano la prima linea d’intervento: smettere di fumare, adottare una dieta equilibrata ricca di frutta, verdura e cereali integrali, praticare regolare attività fisica e monitorare regolarmente la pressione arteriosa e i livelli di colesterolo costituiscono i principali strumenti a disposizione della popolazione.

    Gli esperti raccomandano inoltre di:

  • Controllare e, se necessario, trattare l’ipertensione e l’ipercolesterolemia.
  • Gestire il diabete attraverso dieta, esercizio fisico e eventuale terapia farmacologica.
  • Ridurre lo stress cronico attraverso tecniche di rilassamento, counseling o attività ricreative.
  • Limitare il consumo di alcol e caffeina.
  • In presenza di storia familiare positiva per malattie cardiovascolari, risulta ancor più necessario adottare precocemente tutte le misure di prevenzione primaria disponibili, con controlli regolari dal proprio medico curante.

    Nuove evidenze tra genetica e medicina personalizzata

    La ricerca scientifica sta inoltre indirizzando parte delle sue energie nello studio di varianti genetiche che influiscono sulla suscettibilità individuale a sviluppare infarto. Un esempio di quanto emerso di recente riguarda alcune varianti del cromosoma Y, che sarebbero coinvolte nell’aumento del rischio di eventi coronarici negli uomini fino al 50% in più rispetto a chi non presenta tali assetti genetici. Questo apre la prospettiva a futuri interventi di medicina preventiva su base personalizzata.

    Attraverso l’integrazione tra azioni di prevenzione universale e approfondimenti sui fattori di rischio individuali, sarà possibile ridurre ulteriormente la mortalità da infarto, specialmente nei gruppi considerati ad alto rischio secondo gli esperti.

    Lascia un commento