DALL’ARGENTO AL PIXEL – Storia della tecnica del cinema
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Sta finendo un’era.
Dopo 110 anni nelle sale cinematografiche si cambia.
Non si distingueranno più, per trasparenza, sulla pellicola, le migliaia di figurine formate dall’argento e dai pigmenti colorati, ma tutto sarà digitale, compresso, virtuale, e costruito nell’alternanza velocissima di milioni (si spera, per ragioni di qualità) di punti, ovvero di pixel all’interno di una ordinatissima e minutissima griglia.
Ma quello della proiezione è solo l’ultimo anello di una catena che sta trasformando il linguaggio più diretto tra quelli inventati nei secoli dall’uomo.
Gli altri anelli – ripresa, montaggio, effetti speciali, rielaborazione e riproduzione del suono – hanno già negli ultimi anni subito radicali trasformazioni che spesso hanno significato progresso.
Forse, allora, vale proprio la pena, dalla soglia di questa trasformazione-rivoluzione ormai definitiva, capire da dove si è partiti, come è nato il linguaggio cinematografico e come la sua grammatica prima e la sua sintassi poi si sono evolute anche grazie allo sviluppo tecnologico.
Senza apparecchiature leggere per la registrazione del suono, emulsioni sensibili, apparecchiature illuminanti portatili e compatte, ad esempio, alla fine degli anni ’50 non sarebbe stato possibile costruire “correnti” di indagine e pensiero identificabili sotto le sigle di free cinema o nouvelle vague, largamente basate su riprese dal vero e non più ricostruite in teatro di posa.
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