Il costo di produzione di una moneta da 1 centesimo è significativamente superiore al suo valore nominale. Secondo dati ufficiali resi noti nella Camera dei Deputati e rilanciati da diverse fonti giornalistiche, la spesa necessaria per coniare una singola moneta da 1 centesimo si attesta tra i 4,2 e i 4,5 centesimi di euro, quindi più di quattro volte il valore facciale della moneta stessa. Questo paradosso è al centro del dibattito pubblico ed economico, che mette in discussione la convenienza di continuare a produrre monete di così basso taglio.
Una panoramica sui costi effettivi delle “monetine”
Il dato più citato e aggiornato proviene da una relazione parlamentare, secondo la quale ogni moneta da 1 centesimo costa allo Stato circa 4,5 centesimi. Il valore è confermato anche da stime della Banca d’Italia e delle istituzioni europee, che attestano una forbice di costo tra 4,2 e 4,5 centesimi per ciascuna unità prodotta. La ragione di questa sproporzione va ricercata nei costi materiali, industriali e di distribuzione necessari per realizzare e mettere in circolazione questi piccoli pezzi metallici.
Va sottolineato che i costi comprendono:
Queste spese complessive superano di gran lunga la cifra stampata su ciascuna moneta, generando un “paradosso economico” discusso anche in altri contesti internazionali, come accade ad esempio negli Stati Uniti con la produzione del penny.
Impatto macroeconomico e numeri sulla produzione
Dall’introduzione dell’euro, la Zecca italiana ha prodotto oltre 2,8 miliardi di monete da 1 centesimo, investendo per queste emissioni soltanto 362 milioni di euro contro un valore reale di appena 174 milioni. L’Eurozona nel suo complesso vede circolare circa 38 miliardi di monete da 1 cent, a fronte di un totale di oltre 142 miliardi di monete metalliche di tutti i tagli; il valore nominale aggregato degli spiccioli è però molto più basso rispetto ai costi reali sostenuti da ciascun Paese membro per la produzione e la distribuzione.
Oltre all’Italia, anche altri Stati dell’Unione Europea hanno affrontato il tema, in particolare quelli che negli ultimi anni hanno deciso di limitare la produzione delle monete “minori” o di ricorrere sempre più spesso all’arrotondamento dei prezzi al centesimo o ai cinque centesimi più vicini, una prassi ormai diffusa nei paesi del Nord Europa.
Costo sociale ed economico delle monete da 1 centesimo
Non si tratta solo di una questione strettamente industriale: l’uso, la gestione e la presenza delle monete di valore minimo hanno un impatto sul sistema economico, sull’efficienza dei pagamenti e sulle abitudini dei cittadini. I costi diretti per la produzione sono infatti soltanto una parte delle spese effettive associate a queste monete.
Secondo la Banca d’Italia, considerando l’intero ciclo di vita del contante – dalla produzione alla distribuzione passando per la raccolta, il trasporto e il deposito – i costi sostenuti annualmente nel nostro Paese per l’utilizzo del denaro fisico rappresentano circa lo 0,52% del Prodotto Interno Lordo, contro una media dell’Eurozona fissata allo 0,4%. Il costo annuale in Italia per l’uso del contante raggiunge così circa 8 miliardi di euro, una cifra in cui le monetine, sebbene rappresentino una minima parte del valore totale, pesano proporzionalmente di più proprio per l’elevato costo relativo di produzione.
Il dibattito sulla convenienza e possibili scenari futuri
L’aspetto più discusso dagli addetti ai lavori, dagli economisti e dalle organizzazioni di consumatori riguarda l’effettiva utilità di mantenere in vita questi piccoli tagli monetari. L’evidente sproporzione tra costo di produzione e valore nominale delle monete da 1 centesimo ha portato già diversi Paesi europei a sospendere o ridurre sensibilmente la loro coniazione. L’Italia, per contro, continua a produrle sebbene si siano moltiplicati negli anni i richiami alla razionalizzazione della spesa pubblica.
Gli argomenti a favore dell’abolizione o della limitazione della moneta da 1 centesimo includono:
D’altra parte, i sostenitori della produzione delle monete da 1 cent sostengono che eliminandole si rischia di favorire arrotondamenti verso l’alto nei prezzi, danneggiando i consumatori sui piccoli acquisti. Rimane, tuttavia, il fatto che in molti esercizi commerciali le monete di 1 centesimo vengono ormai raramente restituite come resto, e spesso finiscono inutilizzate nei cassetti o in circolazione passiva.
Il contesto europeo
L’Unione Europea consente ai singoli Stati membri la possibilità di scegliere se continuare a produrre le monete di 1 e 2 centesimi, ma diverse nazioni – tra cui Finlandia, Belgio, Irlanda e Paesi Bassi – hanno già scelto la via dell’arrotondamento, eliminando progressivamente questi tagli. Si profila dunque, nel prossimo futuro, una possibile convergenza verso la politica monetaria comune anche su questo aspetto marginale ma simbolicamente rilevante nell’uso quotidiano del denaro contante.
In conclusione, la produzione della moneta da 1 centesimo costituisce uno dei casi più emblematici di disparità tra costo effettivo e valore nominale nell’attuale sistema valutario fisico europeo. La riflessione su questo tema coinvolge non solo la gestione delle risorse pubbliche, ma anche i comportamenti economici delle famiglie e delle imprese, inserendosi in maniera significativa negli orientamenti futuri della politica monetaria e nell’evoluzione dei mezzi di pagamento.